Vita di Agostino di Ippona

M. F. Sciacca


L'episcopato:  

a) Il dispiego di una attività immensa  

I trentaquattro anni di episcopato segnano un periodo di straordinaria attività nella vita e di pieno sviluppo del pensiero di Agostino. Costretto a prendere stanza nell'episcopio, lo ridusse a monastero, imponendo ai suoi chierici il regime della vita comune. Favorì, pur senza essere troppo entusiasta di questo genere di cose, la costruzione di nuovi edifici ecclesiastici. Conobbe e si studiò di praticare con animo mite le forme della carità cristiana; ebbe sempre a cuore l'istruzione religiosa e, più ancora, il progresso morale del popolo a lui affidato, esercitando a tale scopo il gravoso ministero della predicazione, talora due volte al giorno e talora per tre o anche dieci giorni consecutivi; e questo sino alla sua estrema infermità.

Al clero seppe dare, quando il caso lo richiedeva, esempi di rara fermezza e d'inusitato rigore. Ma le cure della chiesa d'Ippona non impedirono ad Agostino di prendere parte attivissima alla vita ecclesiastica, che allora si svolgeva intensa sul suolo africano, e d'intervenire nelle numerose, vaste e difficili contese dottrinali, che tenevano in agitazione il cristianesimo di quel tempo. Agostino propagò in Africa il monachesimo ch'egli aveva imparato a conoscere e ad amare in Italia.

Prese parte, e certo non da semplice spettatore, alle frequenti riunioni dell'episcopato africano (per esempio a quelle di Cartagine degli anni 397, 403, 411, 418, 419 e di Milevi del 416); tenne continua relazione epistolare su argomenti per lo più d'indole filosofica, dogmatica, morale con oscuri fedeli e con illustri scrittori, quali, ad esempio, S. Girolamo e Paolino di Nola.

Ciò che però dà speciale carattere e fisionomia al periodo del suo episcopato sono le polemiche da lui sostenute contro il manicheismo, contro il donatismo e contro il pelagianesimo. Esse costituirono la predominante occupazione della sua vita e gli offrirono il modo di elaborare, di esporre e di difendere in contraddittorio, quel sistema dottrinale che forma il titolo migliore della sua gloria. Scrive opere filosofiche, pastorali, esegetiche, polemiche, trattati e lettere. Scrittore d'eccezione, compone oltre duecento opere: la sua fama però va legata specialmente a quattro di queste: La Città di Dio, I Trattati sulla Grazia, Le Confessioni e La Trinità.

Il De Trinitate è l'opera di Agostino in egli intenede sondare, fino a che è possibile per mente umana, la rappresentazione di Dio, il mistero di del suo essere Uno e Trino. Riguardo a questo testo, una leggenda medievale intorno alla sua composizione raccontava che passeggiando lungo la spiaggia, Agostino osservò un bambino che versava l'acqua del mare in una buca, scavata nella sabbia. Sorridendo, gli fa osservare che non potrà mai riuscirvi, perchè il mare è tanto grande, mentre piccola è la sua buca. Il bimbo, fatto serio, gli rispose: "neanche tu riuscirai a comprendere fino in fondo il mistero che vuoi conoscere".  

b) Gli ultimi anni

L'età avanzata, il bisogno di tempo e di calma, il desiderio di risparmiare alla sua chiesa i dissensi che solevano accompagnare l'elezione di nuovi vescovi, dettarono ad Agostino l'idea di scegliersi un aiuto e di designarsi un successore.

Il 26 settembre del 426, ritornato appena da Milevi, convocò il popolo nella Basilica Pacis e designò il suo successore nella persona del presbitero Eraclio. I fedeli, alla presenza di appositi notai ecclesiastici, presero atto della sua volontà, ma per quasi trenta volte, acclamando, fecero echeggiare il grido: Augustistinus vita.

Poco dopo, il conte Bonifacio, ribelle alla corte di Ravenna, chiamava dalla Spagna i Vandali. Questi seminarono il terrore e lo sterminio nelle fiorenti province africane, obbligando le scemate forze imperiali a cercare un asilo nella munitissima Ippona, dove s'erano altresì rifugiati i vescovi delle vicine regioni. L'assedio, di cui ben presto Ippona fu cinta, doveva durare ben quattordici mesi.

Nel terzo mese Agostino, però, vinto dal dolore per le tante devastazioni che si erano abbattute sulla chiesa e sul territorio dell'Africa, fu colto dalle febbri e, poco dopo, tra la continua lettura dei salmi penitenziali e nella tarda età di 76 anni mori, la notte del 28 agosto 430.

Sepolto nella Basilica Pacis, trasportato in Sardegna dai vescovi africani, fu riscattato dalle mani dei Saraceni per opera di Liutprando, e trasferito a Pavia, dove tuttora riposa nella chiesa di S. Pietro.

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